La borsetta all’uncinetto nubile

I matrimoni la sfiancavano, e Giulietta aveva pensato bene di farsi da sé una borsa tutta all’uncinetto appositamente per quelle occasioni. Ultimamente non le capitava altro che ricevere inviti; l’ultimo era anche piuttosto impegnativo: sarebbe stata testimone della sposa.

Una testimone alquanto anomala, visto che si sarebbe trattato di una donna nubile a svolgere questo ruolo. Eh sì, Giulietta era arrivata a ventisette anni senza ancora sposarsi, per la disperazione di madre, padre e i moti di scherno di suo fratello. Era quasi un’onta non sposarsi e lei lo sapeva, ma sotto sotto non ne faceva una tragedia. Anzi, era uno suo modo di vendicarsi di un modo di educarla fatto di soprusi, inequità nei confronti suoi – con un fratello che non aveva voglia di studiare ma solo di andare al mare a far baldoria, mentre lei era stata brava a scuola, ma questo non contava.

«Che cerchi, ragazza?» l’apostrofò la signora della merceria. Era in un negozio in centro a Giovinazzo.

La signora lo aveva aperto da sola. Non aveva fatto altro che cominciare ad accumulare bottoni. Merce alquanto preziosa, in tempi di guerra, sempre indispensabile. Lei ne aveva fatto un business, creando un bisogno in tempi in cui i bisogni primari erano più che ridotti al minimo. Il commercio di bottoni era divenuto così, durante lo sbarco degli alleati, durante la guerra, il mestiere che non muore mai quanto il becchino, il necessario-minimo-indispensabile di cui ogni soldato, civile, ragazzino, vecchio, abbisognava in ogni momento.

Ma non era soltanto la materia prima, cioè: il bottone, quello di cui avevano bisogno le persone in quei tempi disgraziati. Anche l’arte di cucire i bottoni era diventata merce di scambio, specialmente negli anni dopo la guerra. Giulietta notava nettamente la differenza tra chi sapeva infilare ad arte – lei seguiva passo passo i consigli di Burda, la rivista tedesca che da pochissimo era arrivata in Italia ed era diventata la sua bibbia del cartamodello, la sua fonte inesauribile di idee, il suo sfogo per i vezzi della giovane età. Principalmente, la differenza consisteva nel fatto che chi si arrangiava alla bell’e meglio vedeva scucirsi bottoni dopo poco e calare brache e dignità, mentre chi sapeva il proprio mestiere faceva durare più a lungo la cucitura.

«Cerco un bottone» risposte Giulietta, vagando con lo sguardo nel mare magnum luccicante, quell’immensa biblioteca del bottone che annoverava ogni possibile novità in fatto di moda, nelle forme più strane e impensate.

«Non ne dubitavo» rispose la signora. «Intendo, che bottone ti serve?» La guardava di sottecchi adesso, fingendo di non abbandonare la Settimana Enigmistica che riempiva sistematicamente ogni settimana.

«Mi serve per questo.» Giulietta sapeva che la cosa da fare per comprare un bottone era mostrare il tessuto dove quel bottone sarebbe stato cucito. E quel tessuto era il suo lavoro all’uncinetto.

Estrasse dalla sua borsa il supporto metallico sul quale aveva cominciato a uncinettare i punti: era un prezioso ghirigoro quasi barocco, anche piuttosto pesante, di ferro battuto.

La merciaia rimase stupefatta. «E questo da dove viene?»

«Era di mia nonna.» Lo sguardo di Giulietta tradiva un timore reverenziale, quasi un pudore nello svelare i segreti di famiglia. «Ne faccio una bella borsa per i matrimoni» aggiunse, passando da una confidenza più intima a una che credeva fosse più innocua. Credeva, perché la curiosità della merciaia si era ormai aperta come una voragine.

«Una borsa? Ma una signorina porta oggigiorno borsette ben più piccole, ai matrimoni!»

«Sì, ma io ci infilo libri in questa borsa. I matrimoni sono lunghi…»

La merciaia fece immediatamente due più due, e si immaginò quella ragazza non più giovanissima, senza fede al dito, ritirarsi a un certo punto del pranzo per “andare alla toilette”. E invece della toilette, scegliere un punto appartato del parco dove si teneva il pranzo, o andare sul molo, elegante nel suo abito ampio simile a quello che portava oggi, con i suoi capelli gonfi e ribelli. Per avventurarsi in un altro universo.

«Sai» riprese la merciaia dopo questo breve lampo d’immaginazione «credo di avere quello che fa per te.»

Estrasse da un cassetto un bottone brillante ma discreto, di quelli che cominciavano a diffondersi, con la calamita per chiudelo. «Così non perderai niente.» Giuliettà annuì.

E mentre le preparava il pacchetto, infilò di nascosto nella carta qualcosa.

Una volta arrivata a casa, Giulietta scartò il pacchetto. Vide il foglietto giallino con il logo della libreria con su stampato:

BUONO PER L’ACQUISTO DEL VOLUME
L’isola di Arturo di Elsa Morante (Einaudi, Torino)
Vincitore del Premio Strega 1957
presso la Libreria Laterza – Bari

E, più in basso, a caratteri piccoli, stampato:

Questo secondo romanzo – in cui l’autrice si nasconde dietro la persona di un ragazzo – racconta l’età fanciullesca, che precede la conoscenza del bene e del male, e l’esperienza della realtà.

Come? Una donna che scrive? E come se non bastasse, finge di essere un ragazzo? Doveva avere quel libro. Lesse l’indirizzo della libreria e cercò immediatamente una scusa per andare a Bari. Mica facile: una ragazza sola, in una città dai vicoli stretti ed equivoci. I suoi non le avrebbero mai permesso di andarci, e per di più per andare in libreria, a comprare un romanzo, poi! No, doveva trovare un’altra scusa.

***

Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome. Avevo presto imparato (fu lui, mi sembra, il primo a informarmene) che Arturo è una stella: la luce più rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale!

Giulietta leggeva l’incipit del romanzo che aveva appena comprato alla Libreria Laterza, Bari, una mattina di settembre in cui aveva trovato la scusa di recarsi in città per andare a trovare zia Melina.

copertina2-isola-gAnni prima, era venuta in possesso fortuitamente di Piccole donne, e le era parso un romanzo sopra le righe, quasi proibito. Ma questo! Questo era molto più intimo. Alcune pagine riuscivano perfino a spaventarla, eppure la scrittura era limpida e rigorosa. Ma quella storia, quel ragazzino con quel padre strano e sfuggente… non sapeva dove l’avrebbe condotta, quella lettura.

Giulietta ripensò alla stanza dei bottoni, quell’enorme campionario di colori, luci, stoffe e materiali che componevano un banalissimo oggetto. E rivide il sorriso della merciaia, il sorriso che l’aveva intimidita e fatta sentire piccola come quei bottoni. Capì all’istante che quel buono non era finito lì per caso, che le sue fughe dovevano avere una ragione, che le parole di quell’Elsa le stavano pian piano entrando, nella sua vita di sartina ribelle a modo suo, che forse voleva essere un ragazzo proprio come Elsa Morante. Ma solo per la libertà di andare in libreria, di leggere, di non sposarsi.